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martedì 2 agosto 2016

322 - IL VOLTO DELL'ASSASSINO

Sabato mattina 2 agosto 1980, diciottenne senza patente, dovevo andare a fare un giro a Bologna  ma ho rinunciato, stanco e mezzo stordito poiché avevo dormito poco. Così sono rimasto a letto, ho perso l'autobus che mi portava alla stazione ferroviaria di Rovigo, dove prendevo il treno per Bologna. Però anche se ci andavo arrivavo a Bologna prima e alle 10.25 ero fuori dalla stazione, a meno che non avessi trovato qualcuno che conoscevo e mi fossi fermato a parlare con lui; oppure se prendevo il treno successivo arrivava dopo, trovavo già l'esplosione e la stazione chiusa, sarei rimasto bloccato dentro il treno per ore, tra Ferrara e Bologna.
85 morti e oltre 200 feriti.
Il più grave attentato terroristico nella storia della Repubblica Italiana.
Quello che mi dispiace maggiormente oggi è vederla definita come una strage fascista, fermandosi così agli esecutori materiali, dimenticando i mandanti e gli organizzatori. Nel dopoguerra, dalla strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947 in poi, se unite i punti fermi si delinea il volto dell'assassino: la commistione tra pezzi dello stato, servizi segreti, P2, criminalità organizzata e fascisti.
Ricordiamo che a Bologna ci sono state altre due stragi:
il 4 agosto 1974, la strage del treno Italicus, San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, 12 morti e 48 feriti; e il 23 dicembre 1984, la strage del treno rapido 904, nello stesso posto dell'attentato del 1974; 16 morti e 266 feriti.
Riporto un episodio significativo relativo alla strage del 1974:
"Il 9 agosto 1974 arriva alla Questura di Roma la testimonianza di Rosa Marotta, titolare di una ricevitoria del Lotto di via Aureliana a Roma. La donna avrebbe ascoltato, qualche giorno prima della strage, la telefonata fatta da una ragazza nel suo locale, riguardante un attentato in preparazione:
«Le bombe sono pronte… da Bologna c'è il treno per Mestre, là trovi la macchina per passare il confine... stai tranquillo… i passaporti sono pronti…». I dirigenti dell'ufficio politico della capitale accertano rapidamente chi era la ragazza autrice della telefonata, Claudia Ajello, non aspettandosi però che questa fosse una collaboratrice del Sid e che lavorasse in un ufficio del Servizio segreto in via Aureliana.
La ragazza, interrogata dal Pm ben tre giorni dopo, afferma di non aver assolutamente parlato di bombe e che la telefonata era rivolta alla madre in partenza per un viaggio che prevedeva il trasferimento da Roma a Mestre in treno. La Ajello fornisce però versioni contrastanti con quelle dei suoi superiori del Servizio segreto, anche riguardo al motivo dell'utilizzo di un telefono pubblico invece dell'apparecchio presente nell'ufficio del Sid. Verrà rinviata a giudizio per falsa testimonianza. Inoltre verrà accertato il suo ruolo all'interno del Sid, non semplice traduttrice, ma infiltrata all'interno dell'ambiente degli studenti greci e del PCI, sezione di Casal Bertone, cui si era iscritta."
(tratto da Wikipedia).

4 agosto 1974. Nella notte una bomba esplode nella vettura numero 5 dell'espresso Roma-Brennero. I morti sono 12 e i feriti circa 50, ma una strage spaventosa è stata evitata per questione di secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbero stati centinaia. Racconta un testimone della strage: «Il vagone dilaniato dall'esplosione sembra friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano su. Su tutta la zona aleggia l'odore dolciastro e nauseabondo della morte». I due agenti di polizia che hanno assistito alla sciagura raccontano: «Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c'era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro doveva già esserci una temperatura da forno crematorio. 'Mettetevi in salvo', abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata. 'Vieni via da lì', gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo»

"Piazza bella piazza. Uno dei momenti più alti e drammatici di questo disco incredibile e coraggioso.
Una delle scene più indimenticabili di tutta una vita. Dieci bare in fila sul sagrato della chiesa. E davanti, fermi, immobili nei loro completi scuri, impenetrabili, il sindaco di Bologna, il presidente della repubblica Giovanni Leone, il segretario della DC Amintore Fanfani, tanti ufficiali, politicanti. Dietro di loro tutta una città riunita, raccolta, ostile. Dapprima ondeggiante di sdegno, poi rumorosa di fischi, grida, ululati. Che si trattiene a stento dal trascendere. Dal travolgere le istituzioni presenti."
Jonathan Gustini, da: Claudio Lolli, la terra la luna e l'abbondanza, edizioni Stampa Alternativa, p. 115.
Piazza bella piazza, ci passò una lepre pazza... è una filastrocca popolare toscana che la madre di Claudio Lolli, originaria di Grosseto, cantava sempre al figlio.

Piazza, bella piazza
ci passò una lepre pazza,
uno lo cucinò, uno se lo mangiò,
uno lo divorò, uno lo torturò,
uno lo scorticò, uno lo stritolò,
uno lo impiccò
e del mignolino ch'era il più piccino
più niente restò.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

Ci passarono dieci morti
i tacchi, e i legni degli ufficiali,
teste calve, politicanti
un metro e mezzo senza le ali,
ci passai con la barba lunga
per coprire le mie vergogne,
ci passai con i pugni in tasca
senza sassi per le carogne.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

Ci passò tutta una città
calda e tesa come un'anguilla,
si sentiva battere il cuore,
ci mancò solo una scintilla;
capivamo di essere tanti
capivamo di essere forti,
il problema era solamente
come farlo capire ai morti.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

E fu il giorno dello stupore
e fu il giorno dell'impotenza,
si sentiva battere il cuore,
di Leone avrei fatto senza,
si sentiva qualcuno urlare
"solo fischi per quei maiali,
siamo stanchi di ritrovarci
solamente a dei funerali".

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

Ci passarono le bandiere
un torrente di confusioni
in cui sentivo che rinasceva
l'energia dei miei giorni buoni,
ed eravamo davvero tanti,
eravamo davvero forti,
una sola contraddizione:
quella fila, quei dieci morti.

Video: https://www.youtube.com/watch?v=5rIi5Irdo74