Se apprezzate e volete offrirmi una birra o una pizza, vi ringrazio immensamente:

giovedì 26 novembre 2015

344 - TERRORISMO

Ho appena visto il riesumato Fini in un programma tv chiedere di assumere più forze dell'ordine in Italia.
Dovrebbe sapere che siamo già quelli che ne hanno di più, al limite basterebbe farli lavorare, invece in Italia tanta gente percepisce soldi ma non lavora, per dirne uno: Gianfranco Fini.
Ma soprattutto se i terroristi seminano il terrore e noi rispondiamo con più gendarmi che ci perquisiscono anche il pertugio anale, alla fine il risultato è che il cittadino innocente si trova un gendarme 24 h che gli può rovistare persino nel collettore di scarico, subendo così più limitazioni nella sua vita dal gendarme che dal terrorista.

I dati:
http://scialoja.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/03/23/in-italia-forze-dellordine-con-organici-piu-numerosi-degli-altri-paesi-europei/

martedì 17 novembre 2015

343 - PROFEZIE

Ogni volta che succede qualcosa dopo salta sempre fuori che c'era chi l'aveva profetizzato.
Mai prima, sempre dopo salta fuori.


lunedì 16 novembre 2015

342 - SOCIAL MENTE

i terroristi sparano
i poliziotti si attardano
gli innocenti muoiono
gli occidentali generalizzano
i politici approfittano
gli utenti dei social citano la Fallaci
diventano strateghi politici
spuntano bandiere francesi nei profili
già in vendita le magliette
preghiere per Parigi a 15 euro,
( muore anche Moira Orfei,
ma lei non va bene, troppa cofana e teneva in cattività gli animali)
Nel frattempo Rossi viene dimenticato, scordato anche Marquez.
Affranti ora guardiamo tutti i risultati del campionato di calcio.
Qualche disperato scrive: E i marò?
Intanto
per un altro giorno ci hanno fregato
hanno avuto la nostra attenzione
abbiamo seguito le pubblicità tra un morto e un dibattito
abbiamo dato credito ai personaggi della recita
confusi e illusi di contare qualcosa
nella realtà
stiamo solo fornendo volontariamente
tutti i nostri dati
per farci schedare sempre di più
facendoci pure rubare
il nostro tempo.




lunedì 9 novembre 2015

341 - I LECCHINI E IL REDDITO MINIMO GARANTITO

Noto infiniti pezzi di merda con il lavoro fisso tramite raccomandazioni affermare che il reddito minimo garantito è un aiuto ai fannulloni , evidentemente non sanno cosa vuol dire trovarsi per strada senza nessuno, senza soldi e senza lavoro.
Non capiscono nemmeno cosa vuol dire vivere di stenti con un reddito minimo o una pensione minima.
Non capiscono una sega, perché se capissero qualcosa se la prenderebbero con coloro ai quali leccano il culo per avere i privilegi di cui godono; si lamenterebbero per i miliardi che spariscono per le grandi e piccole opere, esempio la Tav ci costa 100 miliardi d'euro, fino a 6 volte più che nelle altre nazioni, o gli F35, o il Mose, o il ricchissimo Vaticano a nostro carico, ecc ecc.
Anche senza questo basterebbe pensare che in quasi tutte le altre nazioni europee c'è un sussidio minimo, e che se non glielo dai devi darglielo ugualmente, tramite i centri d'assistenza comunali o le sovvenzioni ad associazioni tipo la Caritas, altrimenti i disperati muoiono.
Ogni tanto qualche disoccupato senza nessuno muore di freddo, di fame, di disperazione, non fa neanche più notizia, tranne un piccolo articolo sul giornale locale e le vecchine della parrocchia che fanno una colletta per pagargli il funerale, poi nessuno se lo ricorderà più.
Così toglie il disturbo; i lecchini potranno tornare in santa pace a leccare la mano di chi li schiavizza per avere in cambio delle briciole di benessere, altresì potranno come bravi cani da guardia del sistema ringhiare contro chi vuole un sistema democratico con diritti per tutti, senza servi e servitori.

N.B. il reddito minimo garantito nelle altre nazioni:
http://www.globalproject.info/public/resources/pdf/mappa_europea_reddito.pdf


venerdì 6 novembre 2015

340 - Merdosità da social

Il top delle merdosità umana su Facebook sono quelli che ti chiedono l'amicizia, tu ricambi, e fanno così con tutti finché arrivano a un certo numero di persone, poi trasformano il profilo in pagina e cominciano a spammare i loro prodotti, facendo i fighi dimostrando che tanta gente li segue.
Fate come me, togliete il mi piace alla loro pagina.
Su Twitter c'è la variante di chi ti segue, tu ricambi, quando hanno raggiunto un numero soddisfacente di seguaci smettono di seguire per atteggiarsi a twwetstar.
Pure in questo caso con certi programmi anche gratuiti (ManageFlitter, JustUnfollow, ecc) potete periodicamente individuare chi non vi segue più e contraccambiare, così imparano a fare gli stronzi.

immagine di Pawel Kuczynski

339 - SERIE TV

Noto molti appassionati di serie tv, ma io di solito quando le guardo le trovo interessanti come la fila alle poste, anche meno, perché un giorno alle poste un pensionato snello e agile si è messo a imitare Celentano cantando (bene) e ballando come lui, era divertente.


sabato 17 ottobre 2015

338 - Il limite ai contanti e l'evasione fiscale

Non sono d'accordo con chi vuole mantenere il limite nei contanti di mille euro, altrimenti togliendolo e portandolo a tremila euro dicono che aumenta l'economia in nero.
In realtà succede il contrario, se uno per ipotesi vende un oggetto o una prestazione per 2mila euro e lo pagano in contanti fatturerà mille euro, il resto sarà in nero, lo dimostra il fatto che il limite era a 12.500 euro per i contanti ma da quando è stato portato a mille euro non è diminuita l'evasione, anzi siamo al primo posto in Europa e al terzo posto al mondo (dopo Turchia e Messico) come evasione fiscale. Nonché il limite nei contanti limita il flusso del denaro nel commercio e nel turismo.
Porta soldi solo alle banche costringendo la gente comune a usare il denaro elettronico (e abbiamo le banche più care d'Europa (http://quifinanza.it/soldi/conti-correnti-bonifici-banche-europa/919/).
Perciò è una stupidata paracula e dannosa fatta per fingere di combattere l'evasione.
Se vogliono combattere l'evasione che comincino con i 100 miliardi di euro che spendono per la tav che viene a costare al km fino a 6 volte più che nelle altre nazioni, sono minimo 80 miliardi di euro fregati ai cittadini. Poi possono continuare con tutte le grandi e piccole opere, con i grandi e piccoli sprechi, cercando i soldi spariti tra i politici e i loro sodali. Poi guardare agli imprenditori che spostano le sedi nei paradisi fiscali evadendo alla grande. Per passare al Vaticano che non paga tasse su gran parte delle attività commerciali che gestisce in Italia.
Per poi scendere per ultime alle evasioni quotidiane, mettendo leggi chiare e semplici da rispettare, eliminando assurdità per cui per una confezione di caramelle da 50 centesimi bisogna fare lo scontrino mentre per gli affitti di terreni valgono ancora i contratti verbali di durata poliennale come nel medioevo, o le agenzie immobiliari non rilasciano ricevute per gli affitti di appartamenti sotto i 30 giorni, o i circoli privati con attività commerciali denunciano quello che vogliono, e così via.

giovedì 15 ottobre 2015

337 - STORIA

Stiamo scrivendo la storia, ma ci hanno fregato l'inchiostro.

sabato 3 ottobre 2015

336 - APOLOGIA DELLA PAROLA: FIGA

Ma quanto è bella la parola FIGA!?
Breve, prorompente, di buon augurio, fa simpatia, accende la fantasia, mette subito di ottimo umore.
Per contro quanto è brutta la parola vagina!?
Sembra un freddo contenitore, una parente sottosviluppata e disgraziata della valigia.
Poi ci sono le persone peggiori, quelle che s'imbarazzano a dire la splendida parola FIGA, allora la chiamano patata o ancor peggio patatina, non c'è niente di più degradante, così puzza d'ipocrisia, di ridicolo falso perbenismo, e anche come parola stessa suona dispregiativa (viene usata sempre con accezione negativa chiamando sacco di patate qualcuno considerato un peso morto oppure se è fatto male, o lo si chiama patatone, o il patata), oltre a banalizzarla, ridicolizzarla, il suono stesso pa-ta-ta, non accende la fantasia ma anzi la deprime, ci si immagina una patata in mezzo alle gambe, viene da riderle in faccia.
L'assurdo è che normalmente dicono di una persona o cosa "quanto è figa" o di una donna avvenente che è una "gran figa", o una "figona", ma poi si vergognano a chiamarla col suo nome.
Avere tra le gambe la cosa più bella del mondo, la fonte della gioia e della vita, deve essere un motivo di orgoglio quindi va assolutamente chiamata con la parola più bella che esista: FIGA.





martedì 29 settembre 2015

335 - DUBBI

Nel caso abbiate dubbi ricordatevi sempre che io non so un cazzo, e me ne vanto.
(e metto pure la congiunzione e dopo la virgola, e fanculo)

domenica 27 settembre 2015

334 - VANTI

A me quelli che s'ingozzano d'alcolici e si vantano fanno pietà, capisco di più un tossico.

venerdì 25 settembre 2015

333 - PENNE

Hanno una loro personalità anche le penne a sfera, con certe riesco agevolmente, scorrevolmente a scrivere i miei pensieri, mentre con altre fatico a farlo, si bloccano nel foglio come aratri senza traino, mi fermano lo scorrere fluido dei pensieri.


332 - PERFEZIONE

Mi piacciono i culi femminili fatti bene,
sono l'unica prova dell'esistenza
di un qualcosa di superiore.

Vorrei abbracciarli
baciarli
viverci
morirci
come su un'isola,
lontana dalle brutture,
lontana dai fastidi,
lontana dalle bollette,
lontana dai soldi,
paradossalmente lontana da ogni merda
dell'umana esistenza.

Ed è solo un culo,
ma è un culo perfetto.

immagine di Bansky

martedì 22 settembre 2015

331 - COERENZA

In una mia maniera ho provato a essere sempre coerente, col risultato di essere un emarginato fuori gioco nella società; mi ritrovo avanzato in età avanzata e senza alcuna prospettiva.
Mentre vedo gli altri che si adeguano paraculamente e stanno bene.
Poi magari nei week end tirano fuori l'Harley e sfoggiano i tatuaggi, così per l'immaginario collettivo sembrano più rivoltosi di me, per cui si trombano pure le tipe alternative.



sabato 19 settembre 2015

330 - Mentalità italiana tipica

Se penso a un esempio della tipica mentalità italiana mi sovviene una che conoscevo, se le dicevi a esempio che c'era un'offerta della vodafone che aveva anche lei come operatore non chiamava il 190 e la attivava, no, doveva chiamare la fidanzata dell'amico di un suo cugino di terzo grado che lavorava alla vodafone, così le faceva un trattamento di favore; alla fine del giro dopo giorni e giorni le facevano la stesse identiche condizioni mie, ma era più contenta così.
Su tutto si comportava in questa maniera, doveva sempre andare in cerca di vie traverse tramite conoscenze per avere trattamenti di favore.

venerdì 18 settembre 2015

329 - LO SPETTACOLO PIÚ GRANDE

Il più gran spettacolo dell'universo non sono le supernove,
il più gran spettacolo di questo pianeta non sono le aurore polari,
il più gran spettacolo che esista 
su questo pianeta e in tutto l'universo
sono le teste di cazzo.

Ti sorprenderanno sempre 
con la loro illimitata e sempre nuova stupidità
con la loro capacità di adattamento e sopravvivenza
con la loro perseveranza e onnipresenza.

Le teste di cazzo
c'erano agli albori dell'umanità
ci sono oggigiorno
e ci saranno in ogni futuro possibile.

giovedì 17 settembre 2015

328 - Vite moderne

Le condizioni di schiavitù con indotti sfoghi consumistici le chiamiamo vite moderne.

lunedì 24 agosto 2015

327 - SINTONIE

Cerco di mantenere un atteggiamento democratico ma in realtà mi fa schifo persino parlarci con chi non la pensa come me, anche perché so già che non cambi le idee delle persone, è tempo sprecato.
Anche chi ti è simile poi su determinati argomenti la pensa in maniera differente, o ha gusti tanto diversi dai miei, per cui non mi trovo in sintonia.
Vorrei formare un gruppo solo con chi la pensa esattamente come me, per confrontarci e crescere lungo un percorso comune; su facebook sarà facile farlo, basta solo che mi crei dei falsi profili.


domenica 23 agosto 2015

326 - Sacco e Vanzetti, il discorso di Vanzetti

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti


Il 23 agosto 1927 negli Stati Uniti venivano giustiziati sulla sedia elettrica Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, accusati di omicidio, ma condannati perché italiani e anarchici.
Prima che la sentenza fosse ufficialmente emessa, i due imputati ricevettero l'invito a pronunciare la rituale dichiarazione. Sacco parlò brevemente, a causa della sua scarsa padronanza della lingua inglese. Vanzetti, invece, pronunciò una appassionata arringa e mise sotto accusa i suoi persecutori.

«Bartolomeo Vanzetti, avete qualcosa da dire perché la sentenza di morte non sia pronunciata contro di voi?».
Sí. Quel che ho da dire è che sono innocente, non soltanto del delitto di Braintree, ma anche di quello di Bridgewater. Che non soltanto sono innocente di questi due delitti, ma che in tutta la mia vita non ho mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue. Questo è ciò che voglio dire.
E non è tutto. Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l'età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.
Queste due braccia sanno molto bene che non avevo bisogno di andare in mezzo alla strada a uccidere un uomo, per avere del denaro. Sono in grado di vivere, con le mie due braccia, e di vivere bene. Anzi, potrei vivere anche senza lavorare, senza mettere il mio braccio al servizio degli altri.
Ho avuto molte possibilità di rendermi indipendente e di vivere una vita che di solito si pensa sia migliore che non guadagnarsi il pane col sudore della fronte.
Mio padre in Italia è in buone condizioni economiche. Potevo tornare in Italia ed egli mi avrebbe sempre accolto con gioia, a braccia aperte. Anche se fossi tornato senza un centesimo in tasca, mio padre avrebbe potuto occuparmi nella sua proprietà, non a faticare ma a commerciare, o a sovraintendere alla terra che possiede. Egli mi ha scritto molte lettere in questo senso, ed altre me ne hanno scritte i parenti, lettere che sono in grado di produrre.
Certo, potrebbe essere una vanteria. Mio padre e i miei parenti potrebbero vantarsi e dire cose che possono anche non essere credute. Si può anche pensare che essi sono poveri in canna, quando io affermo che avevano i mezzi per darmi una posizione qualora mi fossi deciso a fermarmi, a farmi una famiglia, a cominciare una esistenza tranquilla. Certo. Ma c'è gente che in questo stesso tribunale poteva testimoniare che ciò che io ho detto e ciò che mio padre e i miei parenti mi hanno scritto non è una menzogna, che realmente essi hanno la possibilità di darmi una posizione quando io lo desideri.
Vorrei giungere perciò ad un'altra conclusione, ed è questa: non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina di Bridgewater, non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina ed agli omicidi di Braintree né è stato provato che io abbia mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue in tutta la mia vita; non soltanto ho lottato strenuamente contro ogni delitto, ma ho rifiutato io stesso i beni e le glorie della vita, i vantaggi di una buona posizione, perché considero ingiusto lo sfruttamento dell'uomo. Ho rifiutato di mettermi negli affari perché comprendo che essi sono una speculazione ai danni degli altri: non credo che questo sia giusto e perciò mi rifiuto di farlo.
Vorrei dire, dunque, che non soltanto sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse, non soltanto non ho mai commesso un delitto nella mia vita — degli errori forse, ma non dei delitti — non soltanto ho combattuto tutta la vita per eliminare i delitti, i crimini che la legge ufficiale e la morale ufficiale condannano, ma anche il delitto che la morale ufficiale e la legge ufficiale ammettono e santificano: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. E se c'è una ragione per cui io sono qui imputato, se c'è una ragione per cui potete condannarmi in pochi minuti, ebbene, la ragione è questa e nessun'altra.
Chiedo scusa. I giornali hanno riferito le parole di un galantuomo, il migliore che i miei occhi abbiano visto da quando sono nato: un uomo la cui memoria durerà e si estenderà, sempre. più vicina e più cara al popolo, nel cuore stesso del popolo, almeno fino a quando durerà l'ammirazione per la bontà e per lo spirito di sacrificio. Parlo di Eugenio Debs. Nemmeno un cane — egli ha detto — nemmeno un cane che ammazza i polli avrebbe trovato una giuria americana disposta a condannarlo sulla base delle prove che sono state prodotte contro di noi. Quell'uomo non era con me a Plymouth né con Sacco a Boston, il giorno del delitto. Voi potete sostenere che è arbitrario ciò che noi stiamo affermando, che egli era onesto e riversava sugli altri la sua onestà, che egli era incapace di fare il male e riteneva ogni uomo incapace di fare il male.
Certo, può essere verosimile ma non lo è, poteva essere verosimile ma non lo era: quell'uomo aveva una effettiva esperienza di tribunali, di carceri e di giurie. Proprio perché rivendicava al mondo un po' di progresso, egli fu perseguitato e diffamato dall'infanzia alla vecchiaia, e in effetti è morto non lontano dal carcere.
Egli sapeva che siamo innocenti, come lo sanno tutti gli uomini di coscienza, non soltanto in questo ma in tutti i paesi del mondo: gli uomini che hanno messo a nostra disposizione una notevole somma di denaro a tempo di record sono tuttora al nostro fianco, il fiore degli uomini d'Europa, i migliori scrittori, i più grandi pensatori d'Europa hanno manifestato in nostro favore. I popoli delle nazioni straniere hanno manifestato in nostro favore.
È possibile che soltanto alcuni membri della giuria, soltanto due o tre uomini che condannerebbero la loro madre, se facesse comodo ai loro egoistici interessi o alla fortuna del loro mondo; è possibile che abbiano il diritto di emettere una condanna che il mondo, tutto il mondo, giudica una ingiustizia, una condanna che io so essere una ingiustizia? Se c'è qualcuno che può sapere se essa è giusta o ingiusta, siamo io e Nicola Sacco. Lei ci vede, giudice Thayer: sono sette anni che siamo chiusi in carcere. Ciò che abbiamo sofferto, in questi sette anni, nessuna lingua umana può dirlo,  eppure — lei lo vede — davanti a lei non tremo — lei lo vede — la guardo dritto negli occhi, non arrossisco, non cambio colore, non mi vergogno e non ho paura.
Eugenio Debs diceva che nemmeno un cane — qualcosa di paragonabile a noi — nemmeno un cane che ammazza i polli poteva essere giudicato colpevole da una giuria americana con le prove che sono state prodotte contro di noi. Io dico che nemmeno a un cane rognoso la Corte Suprema del Massachusetts avrebbe respinto due volte l'appello — nemmeno a un cane rognoso.
Si è concesso un nuovo processo a Madeiros perché il giudice o aveva dimenticato o aveva omesso di ricordare alla giuria che l'imputato deve essere considerato innocente fino al momento in cui la sua colpevolezza non è provata in tribunale, o qualcosa del genere. Eppure, quell'uomo ha confessato. Quell'uomo era processato e ha confessato, ma la Corte gli concede un altro processo.
Noi abbiamo dimostrato che non poteva esistere un altro giudice sulla faccia della terra più ingiusto e crudele di quanto lei, giudice Thayer, sia stato con noi. Lo abbiamo dimostrato. Eppure ci si rifiuta ancora un nuovo processo. Noi sappiamo che lei nel profondo del suo cuore riconosce di esserci stato contro fin dall'inizio, prima ancora di vederci. Prima ancora di vederci lei sapeva che eravamo dei radicali, dei cani rognosi. Sappiamo che lei si è rivelato ostile e ha parlato di noi esprimendo il suo disprezzo con tutti i suoi amici, in treno, al Club dell'Università di Boston, al Club del Golf di Worcester, nel Massachusetts. Sono sicuro che se coloro che sanno tutto ciò che lei ha detto contro di noi avessero il coraggio civile di venire a testimoniare, forse Vostro Onore — e mi dispiace dirlo perché lei è un vecchio e anche mio padre è un vecchio come lei — forse Vostro Onore siederebbe accanto a noi, e questa volta con piena giustizia.
Quando ha emesso la sentenza contro di me al processo di Plymouth, lei ha detto — per quanto mi è dato ricordare in buona fede — che i delitti sono in accordo con le mie convinzioni — o qualcosa del genere — ma ha tolto un capo d'imputazione, se ricordo esattamente, alla giuria. La giuria era cosí prevenuta contro di me che mi avrebbe giudicato colpevole di tutte e due le imputazioni, per il solo fatto che erano soltanto due. Ma mi avrebbe giudicato colpevole di una dozzina di capi d'accusa anche contro le istruzioni di Vostro Onore. Naturalmente, io ricordo che lei disse che non c'era alcuna ragione di ritenere che io avessi avuto l'intenzione di uccidere qualcuno, anche se ero un bandito, facendo cadere cosi l'imputazione di tentato omicidio. Bene, sarei stato giudicato colpevole anche di questo? Se sono onesto debbo riconoscere che fu lei a togliere di mezzo quell'accusa, giudicandomi soltanto per tentato furto con armi, o qualcosa di simile. Ma lei, giudice Thayer, mi ha dato per quel tentato furto una pena maggiore di quella comminata a tutti i 448 carcerati di Charlestown che hanno attentato alla proprietà, che hanno rubato; eppure nessuno di loro aveva una sentenza di solo tentato furto come quella che lei mi aveva dato.
Se fosse possibile formare una commissione che si recasse sul posto, si potrebbe controllare se è vero o no. A Charlestown ci sono ladri di professione che sono stati in metà delle galere degli Stati Uniti, gente che ha rubato o che ha ferito un uomo sparandogli. E solo per caso costui si è salvato, non è morto. Bene, la maggior parte di costoro, colpevoli senza discussione, per autoconfessione o per chiamata di correo dei complici, ha ottenuto da 8 a 10, da 8 a 12, da 10 a 15. Nessuno di loro è stato condannato da 12 a 15 anni come lo sono stato io da lei, per tentato furto. E per di più lei sapeva che non ero colpevole. Lei sa che la mia vita, la mia vita pubblica e privata in Plymouth, dove ho vissuto a lungo, era cosí esemplare che uno dei più grandi timori del pubblico ministero Katzmann era proprio questo che giungessero in tribunale le prove della nostra vita e della nostra condotta. Egli le ha tenute fuori con tutte le sue forze, e c'è riuscito.
Lei sa che se al primo processo, a Plymouth, avessi avuto a difendermi l'avvocato Thompson, la giuria non mi avrebbe giudicato colpevole. Il mio primo avvocato era un complice di mister Katzmann, e lo è ancora. Il mio primo avvocato difensore, mister Vahey, non mi ha difeso: mi ha venduto per trenta monete d'oro come Giuda vendette Gesú Cristo. Se quell'uomo non è arrivato a dire a lei o a mister Katzmann che mi sapeva colpevole, ciò è avvenuto soltanto perché sapeva che ero innocente. Quell'uomo ha fatto tutto ciò che indirettamente poteva danneggiarmi. Ha fatto alla giuria un lungo discorso intorno a ciò che non aveva alcuna importanza, e sui nodi essenziali del processo è passato sopra con poche parole o in assoluto silenzio. Tutto questo era premeditato, per dare alla giuria la sensazione che il mio difensore non aveva niente di valido da dire, non aveva niente di valido da addurre a mia difesa, e perciò si aggirava nelle parole di vacui discorsi che non significavano nulla e lasciava passare i punti essenziali o in silenzio o con una assai debole resistenza.
Siamo stati processati in un periodo che è già passato alla storia. Intendo, con questo, un tempo dominato dall'isterismo, dal risentimento e dall'odio contro il popolo delle nostre origini, contro gli stranieri, contro i radicali, e mi sembra — anzi, sono sicuro — che tanto lei che mister Katzmann abbiate fatto tutto ciò che era in vostro potere per eccitare le passioni dei giurati, i pregiudizi dei giurati contro di noi.
Io ricordo che mister Katzmann ha presentato un teste d'accusa, un certo Ricci. Io ho ascoltato quel testimone. Sembrava che non avesse niente da dire. Sembrava sciocco produrre un testimone che non aveva niente da dire. Sembrava sciocco, se era stato chiamato solo per dire alla giuria che era il capo di quell'operaio che era presente sul luogo del delitto e che chiedeva di testimoniare a nostro favore, sostenendo che noi non eravamo tra i banditi. Quell'uomo, il testimone Ricci, ha dichiarato di aver trattenuto l'operaio al lavoro, invece di mandarlo a vedere che cosa era accaduto, dando cosí l'impressione che l'altro non avesse potuto vedere ciò che accadeva nella strada. Ma questo non era molto importante. Davvero importante è che quell'uomo ha sostenuto che era falsa la testimonianza del ragazzo che riforniva d'acqua la sua squadra d'operai. Il ragazzo aveva dichiarato d'aver preso un secchio e di essersi recato ad una certa fontana ad attingere acqua per la squadra.
Non era vero — ha sostenuto il testimone Ricci — e perciò il ragazzo non poteva aver visto i banditi e non era in grado quindi di provare che né io né Sacco fossimo tra gli assassini. Secondo lui, non poteva essere vero che il ragazzo fosse andato a quella fontana perché si sapeva che i tedeschi ne avevano avvelenato l'acqua. Ora, nella cronaca del mondo di quel tempo non è mai stato riferito un episodio del genere. Niente di simile è avvenuto in America: abbiamo letto di numerose atrocità compiute in Europa dai tedeschi durante la guerra, ma nessuno può provare né sostenere che i tedeschi erano tanto feroci da avvelenare una fontana in questa regione, durante la guerra.
Tutto questo sembrerebbe non aver nulla a che fare con noi, direttamente. Sembra essere un elemento casuale capitato tra gli altri che rappresentano invece la sostanza del caso. Ma la giuria ci aveva odiati fin dal primo momento perché eravamo contro la guerra. La giuria non si rendeva conto che c'è della differenza tra un uomo che è contro la guerra perché ritiene che la guerra sia ingiusta, perché non odia alcun popolo, perché è un cosmopolita, e un uomo invece che è contro la guerra perché è in favore dei nemici, e che perciò si comporta da spia, e commette dei reati nel paese in cui vive allo scopo di favorire i paesi nemici. Noi non siamo uomini di questo genere. Katzmann lo sa molto bene. Katzmann sa che siamo contro la guerra perché non crediamo negli scopi per cui si proclama che la guerra va fatta. Noi crediamo che la guerra sia ingiusta e ne siamo sempre più convinti dopo dieci anni che scontiamo — giorno per giorno — le conseguenze e i risultati dell'ultimo conflitto. Noi siamo più convinti di prima che la guerra sia ingiusta, e siamo contro di essa ancor più di prima. Io sarei contento di essere condannato al patibolo, se potessi dire all'umanità: «State in guardia. Tutto ciò che vi hanno detto, tutto ciò che vi hanno promesso era una menzogna, era un'illusione, era un inganno, era una frode, era un delitto. Vi hanno promesso la libertà. Dov'è la libertà?
Vi hanno promesso la prosperità. Dov'è la prosperità? Dal giorno in cui sono entrato a Charlestown, sfortunatamente la popolazione del carcere è raddoppiata di numero. Dov'è l'elevazione morale che la guerra avrebbe dato al mondo? Dov'è il progresso spirituale che avremmo raggiunto in seguito alla guerra? Dov'è la sicurezza di vita, la sicurezza delle cose che possediamo per le nostre necessità? Dov'è il rispetto per la vita umana? Dove sono il rispetto e l'ammirazione per la dignità e la bontà della natura umana? Mai come oggi, prima della guerra, si sono avuti tanti delitti, tanta corruzione, tanta degenerazione.
Se ricordo bene, durante il processo, Katzmann ha affermato davanti alla giuria che un certo Coacci ha portato in Italia il denaro che, secondo la teoria della pubblica accusa, io e Sacco avremmo rubato a Braintree. Non abbiamo mai rubato quel denaro. Ma Katzmann, quando ha fatto questa affermazione davanti alla giuria, sapeva bene che non era vero. Sappiamo già che quell'uomo è stato deportato in Italia, dopo il nostro arresto, dalla polizia federale. Io ricordo bene che il poliziotto federale che lo accompagnava aveva preso i suoi bauli, prima della traduzione, e li aveva esaminati a fondo senza trovarvi una sola moneta.
Ora, io dico che è un assassinio sostenere davanti alla giuria che un amico o un compagno o un congiunto o un conoscente dell'imputato o dell'indiziato ha portato il denaro in Italia, quando si sa che non è vero. Io non posso definire questo gesto altro che un assassinio, un assassinio a sangue freddo.
Ma Katzmann ha detto anche qualcos'altro contro di noi che non è vero. Se io comprendo bene, c'è stato un accordo, durante il processo, con il quale la difesa si era impegnata a non presentare prove della mia buona condotta in Plymouth, e l'accusa non avrebbe informato la giuria che io ero già stato processato e condannato in precedenza, a Plymouth. A me pare che questo fosse un accordo unilaterale. Infatti, al tempo del processo di Dedham, anche i pali telegrafici sapevano che io ero stato processato e condannato a Plymouth: i giurati lo sapevano anche quando dormivano. Per contro, la giuria non aveva mai veduto né Sacco né me, e io penso che sia giusto dubitare che nessun membro della giuria avesse mai avvicinato prima del processo qualcuno che fosse in grado di dargli una descrizione sufficientemente precisa della nostra condotta. La giuria non sapeva niente, dunque, di noi due. Non ci aveva mai veduto. Ciò che sapeva erano le cattiverie pubblicate dai giornali quando fummo arrestati e il resoconto del processo di Plymouth.
Io non so per quale ragione la difesa avesse concluso un simile accordo, ma so molto bene perché lo aveva concluso Katzmann: perché sapeva che metà della popolazione di Plymouth sarebbe stata disposta a venire in tribunale per dire che in sette anni vissuti in quella città non ero mai stato visto ubriaco, che ero conosciuto come il piú forte e costante lavoratore della comunità. Mi definivano «il mulo», e coloro che conoscevano meglio le condizioni di mio padre e la mia situazione di scapolo si meravigliavano e mi dicevano: «Ma perché lei lavora come un pazzo, se non ha né figli né moglie di cui preoccuparsi?».
Katzmann poteva dunque dirsi soddisfatto di quell'accordo. Poteva ringraziare il suo Dio e stimarsi un uomo fortunato. Eppure, egli non era soddisfatto. Infranse la parola data e disse alla giuria che io ero già stato processato in tribunale. Io non so se ne è rimasta traccia nel verbale, se è stato omesso oppure no, ma io l'ho udito con le mie orecchie. Quando due o tre donne di Plymouth vennero a testimoniare, appena la prima di esse raggiunse il posto ove è seduto oggi quel gentiluomo — la giuria era già al suo posto — Katzmann chiese loro se non avesse già testimoniato in precedenza per Vanzetti. E alla loro risposta affermativa replicò: «Voi non potete testimoniare». Esse lasciarono l'aula. Dopo di che testimoniarono ugualmente. Ma nel frattempo egli disse alla giuria che io ero già stato processato in precedenza. È con questi metodi scorretti che egli ha distrutto la mia vita e mi ha rovinato. Si è anche detto che la difesa avrebbe frapposto ogni ostacolo pur di ritardare la prosecuzione del caso. Non è vero, e sostenerlo è oltraggioso. Se pensiamo che l'accusa, lo Stato, hanno impiegato un anno intero per l'istruttoria, ciò significa che uno dei cinque anni di durata del caso è stato preso dall'accusa solo per iniziare il processo, il nostro primo processo. Allora la difesa fece ricorso a lei, giudice Thayer, e lei aspettò a rispondere; eppure io sono convinto che aveva già deciso: fin dal momento in cui il processo era finito, lei aveva già in cuore la risoluzione di respingere tutti gli appelli che le avremmo rivolti. Lei aspettò un mese o un mese e mezzo, giusto per render nota la sua decisione alla vigilia di Natale, proprio la sera di Natale. Noi non crediamo nella favola della notte di Natale, né dal punto di vista storico né da quello religioso. Lei sa bene che parecchie persone del nostro popolo ci credono ancora, ma se noi non ci crediamo ciò non significa che non siamo umani. Noi siamo uomini, e il Natale è dolce al cuore di ogni uomo. Io penso che lei abbia reso nota la sua decisione la sera di Natale per avvelenare il cuore delle nostre famiglie e dei nostri cari. Mi dispiace dir questo, ma ogni cosa detta da parte sua ha confermato il mio sospetto fino a che il sospetto è diventato certezza.
Per presentare un nuovo appello, in quel periodo, la difesa non prese piú tempo di quanto ne avesse preso lei per rispondere. Ora non ricordo se fu in occasione del secondo o del terzo ricorso, lei aspettò undici mesi o un anno prima di risponderci; e io sono sicuro che aveva già deciso di rifiutarci un nuovo processo prima ancora di consultare l'inizio dell'appello. Lei prese un anno, per darci questa risposta, o undici mesi. Cosicché appare chiaro che, alla fine, dei cinque anni, due se li prese lo Stato: uno trascorse dal nostro arresto al processo, l'altro in attesa di una risposta al secondo a al terzo appello.
Posso anzi dire che, se vi sono stati ritardi, essi sono stati provocati dall'accusa e non dalla difesa. Sono sicuro che se qualcuno prendesse una penna in mano e calcolasse il tempo preso dall'accusa per istruire il processo e il tempo preso dalla difesa per tutelare gli interessi di noi due, scoprirebbe che l'accusa ha preso più tempo della difesa. C'è qualcosa che bisogna prendere in considerazione a questo punto, ed è il fatto che il mio primo avvocato ci tradì. Tutto il popolo americano era contro di noi. E noi abbiamo avuto la sfortuna di prendere un secondo legale in California: venuto qui, gli è stato dato l'ostracismo da voi e da tutte le autorità, perfino dalla giuria. Nessun luogo del Massachusetts era rimasto immune da ciò che io chiamo il pregiudizio, il che significa credere che il proprio popolo sia il migliore del mondo e che non ve ne sia un'altro degno di stargli alla pari.
Di conseguenza, l'uomo venuto dalla California nel Massachusetts a difendere noi due, doveva essere divorato, se era possibile. E lo fu. E noi abbiamo avuto la nostra parte.
Ciò che desidero dire è questo: il compito della difesa è stato terribile. Il mio primo avvocato non aveva voluto difenderci. Non aveva raccolto testimonianze né prove a nostro favore. I verbali del tribunale di Plymouth erano una pietà. Mi è stato detto che piú di metà erano stati smarriti. Cosicché la difesa aveva un tremendo lavoro da fare, per raccogliere prove e testimonianze, per apprendere quel che i testimoni dello Stato avevano sostenuto e controbatterli. E considerando tutto questo, si può affermare che se anche la difesa avesse preso doppio tempo dello Stato, ritardando così il caso, ciò sarebbe stato più che ragionevole. Invece, purtroppo, la difesa ha preso meno tempo dello Stato.
Ho già detto che non soltanto non sono colpevole di questi due delitti, ma non ho mai commesso un delitto in vita mia non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non ho mai versato una goccia di sangue, e ho lottato contro il delitto, ho lottato sacrificando anche me stesso per eliminare i delitti che la legge e la chiesa ammettono e santificano.
Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla piú miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di piú per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.
Ho finito. Grazie.



Gianni Morandi: Ho visto un film (video)






mercoledì 19 agosto 2015

325 - CULTURA NEI SOCIAL NETWORK

Mi ha nauseato la cultura in versione social network.
Diventa nozionismo e ostentazione.
Rimangono nell'ambito del risaputo, della scelta indotta, del libro da dire che si è letto per non essere fuori dalla mandria, ma non è quasi mai una scelta personale, mentre è quasi sempre una scelta guidata dal mercato, anche quello alternativo.
Inoltre di ogni autore famoso bisogna fingere d'aver letto tutto, anche la lista della spesa dal salumiere.
Io cerco di apparire più fuori possibile dai loro schemi, per non avere neppure da discutere con certi.
Come evito quelli che si pavoneggiano per i soldi che hanno, così evito quelli che si vantano delle loro letture.
O dei dischi ascoltati.
O dei film visti.
O dei luoghi visitati.
O dei cazzi presi.
O delle vagine infilate.
Sono tutti personaggi venuti su questo pianeta con un solo preciso scopo:
scassare la minchia al prossimo.

giovedì 13 agosto 2015

324 - QUALUNQUISMI

Quando sento/leggo gli uomini sono tutti così e le donne sono tutte cosà mi si rizzano i peli della schiena e mi parte il vaffanculo automatico.

martedì 11 agosto 2015

323 - DISCODRUG

Io non mi stupisco che ci siano ragazzi che muoiono di droghe nelle discoteche, mi stupisco invece che ci sia ancora gente che va in discoteca, sono pochi per fortuna.
Alcolizzarsi e stupefarsi sono i normali effetti collaterali dello stazionare in certi posti del finto divertimento obbligatorio.
Comunque se le mettessero legali tutte le sostanze ci sarebbero meno morti da seppellire e meno tasse da pagare, ma la legalizzazione farebbe piangere a dirotto i Giovanardi, i preti e le organizzazioni criminali.
Per cui continuiamo così, mettiamo più Alfani e poliziotti a controllare i giovani.
PS
siamo già il paese in Europa con più forze dell'ordine per abitante, 1 ogni 129 abitanti, più del triplo di altre nazioni (in Germania sono 1 ogni 420, in Gran Bretagna 1 ogni 400, in Spagna 1 ogni 350, in Francia 1 ogni 250).


mercoledì 29 luglio 2015

322 - DEFINIRSI POETI

Non mi vergogno quasi di niente, tranne che di definirmi un poeta, mi imbarazza scrivere poeta riferito a me; ma pure riferito agli altri.
Poesia e poeta sono parole usate a vanvera, abusate, svuotate.
Come succede anche alla parola amore, suona di falso e vuoto, a me imbarazza pronunciarla.
Secondo me siamo gente che scrive dei pensieri, che diventano scritti in forma insopportabile e illeggibile quando uno cerca di essere un poeta, aderendo a certi stereotipi, recitando il ruolo.
Anche perché i poeti presenti sui social network oggigiorno sono in gran parte veri e propri malati di mente o repressi sessuali (i peggiori); o laureati in lettere che hanno trovato lavoro solo come spargitore di insetticida nei campi e per dare un valore ai loro studi si mettono a fare i critici letterari piacioni su Facebook, discutendo di metrica con le pensionate; oppure ci sono gli "alternativi" intossicati disadattati che descrivono in versi le loro paranoie e i mal di pancia, tra sballi e sbornie, perché loro si ritengono creature perfette incomprese mentre tutti gli altri sono solo delle merde cattive, così loro soffrono e sono sull'orlo del suicidio a parole, ma spesso li noti pronti a qualsiasi lecchinaggio per avere un qualche riconoscimento sociale, tramite premiazioni anche alla sagra dell'asparago o pubblicazioni con editori sconosciuti.
Restano quelli sinceri o che almeno cercano di esserlo e senza recitare nessuna parte scrivono ciò che sentono il bisogno di scrivere/comunicare.
Nel mio caso sono decenni che scrivo poesie, scrivevo per me stesso, nel 2011, purtroppo per chi non mi sopporta, mi sono collegato al web e le diffondo. A volte rileggendole non mi piacciono, vedo troppe ripetizioni, finali simili e concetti esposti già in altre, mentre altre volte mi piaccio molto e mi basta quello. Ovviamente gli apprezzamenti fanno piacere, se tanta gente mi leggesse mi farebbe piacere, ma non è un mio obbiettivo essere considerato un poeta.
Come dicevo sento pure un certo imbarazzo a dire o sentirmi dire che sono un poeta, mi ricorda il mitico Palmambrogio Guanziroli con "La coltivazione del riso", interpretato da Pozzetto.
Se scrivo una specie di poesie mi pare pure ipocrita dire che non sono poeta, però almeno non mi faccio delle seghe mentali e credo sia questa la cosa più importante.

lunedì 20 luglio 2015

321 - Come far desistere i call center

Quando mi telefonano i call center con le loro proposte imperdibili di gas, luce, acqua, telefono, internet, tanti film in prima visione tv compresi campionatoesempionslig, ecc dico loro che sono un nomade, senza fissa dimora.
Riattaccano subito.
Che esagerati, magari avevo intenzione di fare un qualche abbonamento del cazzo.

domenica 19 luglio 2015

320 - GLI SCRITTORI SERI

Gli scrittori più seri e affermati mi evitano, hanno ragione, non sono nessuno e scherzo troppo.
Invece loro sono scrittori seri che partecipano ai premi letterari, fedeli agli impegni, se vincono il premio sponsorizzato da un liquore sono costretti a tracannare il liquore dalla bottiglia col marchio in evidenza di telecamera, per simulare gioia ed entusiasmo verso lo sponsor; loro ligi al dovere adempiono al compito anche se soffrono di una qualche malattia allo stomaco che lo sconsiglierebbe, anche se dopo dovranno sottoporsi alla lavanda gastrica.
Se lo sponsor del premio letterario che vincono fosse una ditta produttrice di pompette per i clistere si calerebbero le braghe e se lo farebbero sul palco, durante la premiazione, per dimostrarne l'efficacia.
Mentre io non sono uno scrittore serio, né mai lo sarò.

319 - RIVOLTA GRAMMATICALE

Se scrivete ventitre o cinquantatre è sbagliato, l’accento va sempre segnato nei composti con tre, che sono parole polisillabiche accentate sull’ultima sillaba.
Allora magari scrivete ventitrè, ma manco per il cazzo, sbagliato.
Dovete scrivere ventitré, così è corretto.
Nel frattempo probabilmente avete perso il filo del discorso e scordato cosa dovevate scrivere.
La grammatica oggi mi pare in larga parte superata e controproducente, se scrivo la rispetto, ma certi orpelli inutili sono tipici di una mentalità italiana che si rispecchia pure nelle leggi astruse. C'è gente che gode a complicarsi la vita e a complicarla agli altri, manca una mentalità pratica.
Se io scrivo ventitre non c'è spazio per fraintendimenti perciò ogni accento imposto è pleonastico, quindi eliminabile, invece necessita in giacché per distinguerlo da giacche (a parte che giacché non lo usa più nessuno).
Pure l'accento in ciò è inutile, nonché l'apostrofo del po' inconfondibile col fiume Po, dotato di maiuscola.
Io poi gli eliminerei tutti gli inutili apostrofi.
Mentre sarebbe di mettere l'accento obbligatorio, invece che è facoltativo, su una parola sdrucciola, accentata alla terzultima sillaba, per non confonderla con identica parola piana, cioè accentata sulla penultima sillaba, quindi per distinguere il capitano le cose e il capitano di una nave, la retina di un occhio e la retina per pescare, ecc.

mercoledì 15 luglio 2015

318 - SOCIAL NETWORK REVOLUTION

Si scrive una frase contro qualche modo di comportarsi della gente comune, qualche amico ci dà ragione e così andiamo a dormire soddisfatti, pensando di aver fatto tutto il possibile, dando il nostro contributo per debellare il problema.

317 - SOCIOLOGIA LIBIDINOSA

Ma quelle anche un minimo sindacale carine, che scrivono per mettere in mostra se stesse mascherandolo per analisi sociologica, e i morti di topa a seguito che le incensano sbavando nei commenti, mi fanno venire una tristezza deprimente che provavo solo quando da bambino guardavo lo zecchino d'oro (quasi mai e al massimo per pochi minuti, li odiavo i bambini canterini ammaestrati).

martedì 14 luglio 2015

316 - TIRANNI E TIRANNINI

In Italia c'è sempre qualcuno con qualche incarico, dal presidente al portinaio, che si sente realizzato se riesce a tirannizzare gli altri; e più in basso stanno nella loro ambita scala sociale e più sono rancorosi, si atteggiano e rompono le palle al prossimo.

domenica 28 giugno 2015

venerdì 19 giugno 2015

314 - I COMODI

Ci sarebbe una rivoluzione se i pirlotti opinionisti da social odiassero chi li sfrutta/ricatta/depreda come odiano vegetariani/controinformazione/impegno politico.
Invece sono infastiditi da qualsiasi cosa che possa mettere in dubbio le loro piccole abitudini e certezze.

giovedì 18 giugno 2015

313 - CASTE

Se un miliardario tipo Lapo Elkan sniffa e va con i trans, o tipo Elton John si sposa con un altro uomo e adotta un figlio, la gente non dice niente e lo accetta, fin qui sono d'accordo.
Ma se la fa un poveraccio la stessa identica cosa non va bene, le stesse persone che accettava la facesse un ricco lo stigmatizzano, glielo impediscono.
Il problema è che sono sudditi del denaro, se uno è ricco allora va bene qualsiasi cosa, invece se è povero e sconosciuto non va più bene. Se un politico ruba i miliardi di euro non si indignano più di tanto, anzi sotto sotto lo invidiano, invece se arriva l'emigrato lo ammazzerebbero a bastonate per paura che ci costi qualche euro.

giovedì 11 giugno 2015

312 - ATTRAZIONE

Mi attraggono le lentigginose, le disordinate, le scomposte; mentre quelle tutte perfettine mi attirano poco.
Forse è un po' come i dischi in vinile, che anche se senti fruscii e scricchiolii li preferisci alla asettica perfezione digitale, per il suono, per il fascino dell'atmosfera che ricreano, o anche solo perché dentro te sai che la vita non è lineare e perfetta, quindi cerchi la sincerità.



martedì 2 giugno 2015

311 - ODIO

Odiano gli immigrati, odiano i meridionali, si odiano tra di loro, odiano sé stessi.




310 - EQUAZIONE 3.0

Equazione web trepuntozero:
Corona in carcere x 4 foto x 10 anni + i 2 marò + 35 euro x giorno agli immigrati = tuttacolpadeglizingari votalega e fattiunasega


sabato 30 maggio 2015

309 - LA CORRUZIONE NEL CALCIO ITALIANO




Dal sito www.andreascanzi.it

IL FANGO DEL CALCIO
Carlo Petrini è stato uno degli attaccanti più noti degli anni Settanta. Nell’80 fu coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse. Oggi, con i suoi libri, ha raccontato che doping, partite combinate e falsi in bilancio non sono l’eccezione ma la norma nel calcio. Ha spiegato perché nell’80 la Juve non andò in B. Ha indagato sulla morte di Donato Bergamini. Ed è stato isolato.

La sua autobiografia, Nel fango del dio pallone, ha fatto molto discutere.
C’è la mia vita e tutto quello che nel calcio si fa ma non si deve dire. Il doping, le partite combinate, le scommesse, il falso in bilancio. E le sole cose che i calciatori hanno in testa: sesso e macchine. Mi sono sposato a 19 anni e da calciatore ho avuto almeno un rapporto extra-coniugale a settimana. Come quasi tutti i calciatori. Sono stato una pecora nera in mezzo a pecore nere. Di pecore grigie ne ho conosciuta qualcuna, di pecore bianche nessuna. Le partite aggiustate si sono sempre fatte e si continuano a fare. Ne ricordo una, Padova-Genoa del ‘66, avevo 18 anni. Anche il doping. Già nei Sessanta ci facevano “iniezioni ricostituenti”, usando la stessa siringa per più persone. Testavano su di noi strane alchimie. Non sapevamo cosa ci davano, ma non dicevamo di no: doparsi significava giocare. Per Verona-Genoa, il 2 giugno ’68, io e altri quattro fummo dopati con un liquido chiaro contenuto in una bottiglia dell’Orangina. In campo correvamo il triplo degli altri, poi però continuavamo a essere “carichi” anche molte ore dopo. Occhi sbarrati, bava verde alla bocca, battito a mille. Nessuno si lamentava e all’antidoping non c’erano problemi, avevamo bottigliette di urina pulita nascosta sotto gli accappatoi.

Oggi la situazione è migliorata?
Non migliorerà mai fino a quando ci saranno Moggi, Galliani e Carraro. Ne I pallonari (2003) e Senza maglia e senza bandiera (2004) ho raccontato combine, doping e truffe finanziarie dagli Ottanta ai giorni nostri. Ho anche pubblicato le deposizioni dei giocatori juventini al processo doping, fossi in loro sarei terrorizzato. Il rischio è che tra 20 anni i calciatori di oggi si ammalino gravemente, come è successo a tanti miei amici. Penso a Taccola, Beatrice, Rognoni, alle molte morti di leucemia e sindrome laterale amiotrofica. E’ dimostrato che l’incidenza di queste malattie sui calciatori è maggiore. Ogni giorno temo di svegliarmi e non sentire più le gambe. Quando arrivai al Milan mi fecero le visite e mi dissero: “Ma cosa le hanno dato a Genova? Stia attento alla vista”. Nel ’91, a 43 anni, un glaucoma mi ha portato via l’occhio sinistro, e dal destro vedo pochissimo.

I suoi libri circolano molto, ma sono stati recensiti pochissimo.
Hanno venduto decine di migliaia di copie, specie Nel fango del dio pallone (2000). Se Kaos continua a pubblicarmi è anche perché funziono. I giornalisti non mi hanno appoggiato, ma lo sapevo. “La Gazzetta dello Sport” ha recensito la mia autobiografia giusto per darmi del poveraccio. Rai Educational voleva farne un film. Poi è arrivato il direttore, Minoli, juventino e amico di Moggi. Il film non è mai andato in onda.

Lei è nato a Monticiano, a trenta chilometri da Siena. E’ anche il paese di Moggi.
Kaos ha pubblicato una sua biografia, Lucky Luciano. Gli autori, un gruppo di giornalisti, si sono celati dietro pseudonimo altrimenti perdevano il lavoro. E’ un altro libro che nessuno ha recensito. Nel ’79 Moggi, ex ferroviere, era alla Roma e fu sorpreso a cena con l’arbitro prima di Roma-Ascoli. Nell’80 era direttore generale alla Lazio, in pieno calcio-scommesse, e lui “non ne ha mai saputo niente”. Nell’82, quando era al Torino, fu condannato a quattro mesi per omicidio colposo, probabilmente un incidente d’auto mortale. Dall’87 al ’91 era nel Napoli di Maradona, nello spogliatoio gravitavano droga e camorra ma lui “non ha visto niente”. Torna al Torino di Borsano. Il 5 maggio ’91 è sorpreso a cena con l’arbitro D’Elia. Nell’estate del ’92 compra tre sedicenni ghanesi: l’operazione è vietata perché minorenni, lui li fa assumere come fattorini della holding di Borsano. Poi c’è il crac societario e la magistratura scopre che Moggi in almeno tre casi ha regalato tre prostitute alle terne arbitrali che avrebbero diretto il Torino in Coppa Uefa. Lui replica che le prostitute in realtà erano “interpreti”. E’ indagato per favoreggiamento della prostituzione e illecito sportivo. Non solo: rinviato a giudizio per frode fiscale, Moggi patteggia per evitare il processo e se la cava con 5 milioni di multa. Qualsiasi paese avrebbe cacciato una persona simile. Invece in Italia lo hanno premiato, e dal ’94 Moggi è alla Juventus.

Nella sua autobiografia c’è il racconto di Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980.
Ero arrivato a Bologna nel ’79. Il giovedì prima della partita il ds del Bologna, Riccardo Sogliano, ci avvertì che le due società si erano accordate per il pareggio. Tutto lo spogliatoio era d’accordo, e tutti del Bologna – tranne Sali e Castronaro – decisero di scommettere 50 milioni sul pareggio. I giocatori della Juventus ci dissero di non avere scommesso perché “il colpo l’abbiamo fatto già due settimane fa con l’Ascoli”. Chiesi a Trapattoni nel sottopassaggio di rispettare i fatti, avevamo giocato insieme con Milan e Varese: mi disse di stare tranquillo. Il primo tempo fu indecente, il pubblico ci fischiò. Nel secondo Causio fece un tiraccio e il nostro portiere Zinetti si impaperò: 1-0. Non esultò nessuno, neanche Causio, crebbe il nervosismo. Entrai dalla panchina. Prima di un corner per noi, Bettega disse che ci avrebbe pensato lui a farci pareggiare. Subito dopo Brio deviò di testa nella sua porta il calcio d’angolo. La combine fu palese. L’11 febbraio 1980 si giocava Bologna-Avellino. Io, Dossena, Colomba, Paris, Zinetti e Savoldi scommettemmo sul pari senza avvertire la squadra. Non funzionò, Savoldi segnò e non ci fu tempo per pareggiare. Su quella partita avevano scommesso in tanti, il banco del totoscommesse saltò. Massimo Cruciani e Alvaro Trinca, che gestivano le scommesse da Roma, denunciarono tutto. Furono i grandi accusatori del calcio-scommesse dell’80, che portò Lazio e Milan in B e costò giorni di carcere ad alcuni colleghi (Giordano della Lazio, ad esempio) e anni di squalifica a personaggi famosi, tra cui Paolo Rossi.

Finiste sotto inchiesta.
La nostra “fortuna” era che avevamo pareggiato con la Juventus, per questo non finimmo in carcere. Cruciani lo conoscevo dai tempi di Roma, era un venditore di frutta e verdura amico dei calciatori e del clero, ci portava in Vaticano a fare spese per risparmiare quando giocavo a Roma. Trinca era un ristoratore rifornito da Cruciani, nel suo ristorante c’erano sempre calciatori di serie A. I rapporti con Cruciani li tenevo io al telefono, ho raccontato tutto nel libro. Nessuno mi ha querelato perché quello che ho scritto è tutto vero. Cruciani depose alle prime udienze e fu lui a inchiodare Rossi. I giocatori del Bologna mi stavano isolando, ero il più vecchio del gruppo, avevo 32 anni e gli altri 5 della combine fallita con l’Avellino mi chiesero, in cambio di denaro, di assumermi tutte le colpe. Non accettai. Poi arrivò il nostro turno. Dal confronto con Trinca uscii malissimo. Sapevamo che, se Cruciani si presentava, noi e la Juve eravamo spacciati. Il presidente bianconero Boniperti e l’avvocato Chiusano, venerdì 23 maggio 1980, mi avvicinarono dopo un’udienza del processo di Milano e mi dissero di trovare Cruciani per convincerlo, in cambio di “qualsiasi cifra”, a non presentarsi l’indomani in aula. Ci trovammo con gli altri indagati del Bologna a casa della mamma di Dossena, che abitava a due passi da San Siro, e con Cruciani ci accordammo per le ore 23 davanti al cancello 5 dello stadio di San Siro. Arrivai all’appuntamento travestito da vecchio, con gli occhiali e la gobba, se mi trovavano era finita, ma convinsi Cruciani a non presentarsi in aula. Ecco perché la Juventus non è andata in B. In un certo senso è “merito” mio.

Quale fu la sentenza?
Pene blande per me, Savoldi e Colomba per Bologna-Juve, nulla ai bianconeri e alle due società. Il contrario per Bologna-Avellino: squalifica di un anno al presidente rossoblu Fabretti, cinque punti di penalità al Bologna, tre anni di squalifica a me e Savoldi. Assolti gli altri.

Perché ha raccontato tutto questo?
Per troppa fame di soldi, dopo avere smesso di giocare, avevo perso tutto. Mi cercavano gli usurai, mi sono nascosto per anni in Portogallo e Francia. Mentre ero all’estero, il mio terzo figlio Diego è morto a 19 anni e io, per paura della malavita, non ho neanche avuto il coraggio di salutarlo un’ultima volta. Era il 18 giugno ’95, da allora vivo con un rimorso indicibile. A novembre ’98 ho incontrato Moggi a Monticiano, mi ha proposto di fare l’osservatore alla Juventus. Avevo appena iniziato l’autobiografia, i soldi di Moggi mi avrebbero fatto comodo, ma accettare significava diventare uno dei tanti suoi zerbini.

C’è un libro particolare, nella sua produzione: Il calciatore suicidato (2001).
E’ la cosa a cui tengo di più, spero sempre che un magistrato lo legga e riapra l’inchiesta. Donato Bergamini era un calciatore del Cosenza, serie B. E’ morto il 18 novembre 1989 a 27 anni. Si sarebbe buttato volontariamente sotto un camion sulla Statale Ionica, in realtà venne ucciso. Probabilmente dalla ‘ndrangheta locale. Nel libro, un’inchiesta giornalistica puntigliosa e rischiosa, ho ricostruito tutto. Qui mi limito a dire che qualche anno fa il Cosenza Calcio è stato messo sotto inchiesta per associazione a delinquere, ed era la stessa gente che c’era ai tempi di Bergamini. Il pullman del Cosenza era usato per portare la droga dal sud al nord e anche la Maserati di Bergamini, conosciuta e “autorizzata” anche dalle forze dell’ordine, serviva come tramite. La mia idea è che alcuni giocatori più smaliziati, come Marino e Padovano, poi a Napoli e Juve grazie a Moggi, sapevano che quella sera Denis sarebbe stato punito, ma non sapevano che sarebbe stato ucciso. Probabilmente Bergamini, l’ingenuo del gruppo, voleva uscire da quel giro.

Sta scrivendo altre cose?
Il mio quinto libro, sempre per Kaos, uscirà a giugno. Parla anche del misterioso superfischietto che frequentava il Viva Lain, il centro di “massaggi” torinese dove andavano giocatori di Juve e Torino. La stampa non ha mai fatto il suo nome. Io sì: Pairetto, l’attuale designatore degli arbitri. Ognuno della sua vita privata fa quello che vuole e io sono l’ultimo che può parlare, ma non è singolare che il designatore degli arbitri di serie A e B frequentasse proprio lo stesso centro “caro” alla Juventus?





Dal sito www.disinformazione.it

La massoneria e lo scandalo del calcio scommesse del 1980 nell’autobiografia di Petrini, di Giuseppe Ardagna
Lo scandalo delle scommesse legate alle partite di calcio scoppia agli inizi del 1980. Quella che, all’opinione pubblica, sembra un fulmine a ciel sereno, risulta però essere per gli addetti ai lavori la risultante di un percorso partito parecchi anni addietro e che ha trovato il suo periodo di maggior fulgore negli anni settanta. D’altronde non c’è da stupirsene. Soldi e pallone sono sempre andati a braccetto. Ma questa volta è diverso: questa volta indaga la magistratura che porta davanti ai giudici dirigenti, giocatori, scommettitori. In Italia ( paese in cui da sempre puoi toccare tutto tranne il sacro giocattolo) scoppia un putiferio senza pari. Si capisce sin da subito che non sarà possibile venirne fuori con una sentenza che permetta una frettolosa ripulita in superficie, ma che bisognerà dare una “punizione esemplare”. Tutte le squadre coinvolte, chi più chi meno, tutti i giocatori implicati subiranno la loro brava condanna, ma di calcio scommesse si tornerà già a parlare pochissimo tempo dopo l’emissione della sentenza. Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi.
Ma non è precisamente del calcio scommesse che vogliamo occuparci in queste pagine, il calcio scommesse è un’altra storia.
Vogliamo occuparci di alcuni lati connessi ad esso.

Vent’anni dopo i fatti testé menzionati, l’ex calciatore Carlo Petrini da alle stampe la sua autobiografia all’interno della quale spiega ( senza risparmiare dettagli) l’odissea del suo coinvolgimento nello scandalo delle partite truccate. In queste pagine si parla del suo grande accusatore ed ex amico, l’allibratore Massimo Cruciali. Ufficialmente Cruciani, stando alle parole di Petrini, gestisce un ingrosso di orto frutta, ma gode di agganci ed “entrature” notevoli. L’ex giocatore racconta dei rapporti del commerciante romano con il Vaticano arrivando ad aggiungere che un giorno avrebbe anche potuto fargli conoscere il Papa: “Cruciani veniva spesso a Grottaferrata, era in confidenza con tutti i giocatori. Anche perché, grazie a lui, riuscivamo a fare lo shopping nello spaccio del Vaticano . Nella cittadella del Papa c’era ogni ben di Dio e costava tutto la metà. Non so se Cruciani fosse parente di qualche prelato, o se avesse qualche lasciapassare speciale:so che ci faceva entrare in Vaticano con i nostri macchinoni perfino a fare il pieno di benzina ad un prezzo divino. Un giorno, mentre mi accompagnava nella città santa a fare lo shopping scontato , Cruciani mi disse: -posso farti avere un udienza privata dal Papa[…]” Cruciani, che all’apparenza sembra essere un agiato commerciante di generi alimentari, pare in realtà una persona potente, uno che sa cosa chiedere e sa a chi chiederla. Ma Cruciani gode di amicizie anche nel mondo del pallone. Più precisamente si mantiene in contatto con il presidente della Figc Artemio Franchi . Cruciani gestisce dunque un giro di scommesse legate al mondo del calcio, è legato a filo doppio col Vaticano, di cui gode e fa godere i favori, ed è in contatto con l’esponente massone (P2) della Figc.

Ma fra le tante conoscenze di Petrini nel periodo romano, ce n’è una in particolare: quella di un certo Roberto (il cognome non lo si saprà mai): “[…]avrà avuto fra i trenta ed i quaranta anni […]non seppi mai che lavoro facesse Roberto, ma scoprirò poi che era un uomo molto potente e soprattutto informatissimo”. Teniamolo a mente questo nome, Roberto, perché ci ritorneremo. Calcio, personaggi ambigui, esponenti massoni, scommesse e soldi. Tanti soldi. Di massoneria Petrini parlerà apertamente in merito alla possibilità di formare una squadra che coinvolga nel proprio organico i giocatori squalificati in seguito alla sentenza del processo per il calcio scommesse fra i quali figurano, è bene ricordarlo, giocatori che poi diverranno eroi nazionali come Dossena e Rossi campioni del mondo nel 1982: “[…] in autunno saltò fuori l’idea di mettere su una squadra di calcio formata da noi giocatori squalificati per il calcio scommesse, che facesse partite di beneficenza in giro per il mondo.[…] il primo contatto concreto fu per una partita amichevole in Svizzera, con il Basilea. Mi ricordo che mentre eravamo in un albergo milanese per definire gli ultimi accordi con i dirigenti della squadra elvetica arrivò il veto della Figc. La federazione aveva mandato a tutte le federazioni dell’Uefa un telegramma nel quale le invitava a non accogliere la nostra squadra nei loro stadi. Protestammo contro il colpo basso della Figc e provammo a non arrenderci, la nostra iniziativa stava trovando parecchi sostenitori. Mi telefonò un avvocato di Roma ( non ricordo il nome), mi parlò della possibilità di organizzare il tutto sotto il patrocinio della croce rossa internazionale e mi propose di incontrarci perché lui avrebbe potuto aiutarci. Andai a Roma nello studio dell’avvocato. Mi disse che c’era gente importante disposta a sostenerci, fece il nome della moglie dell’ambasciatore americano in Italia, dell’attore Rossano Brazzi e di altri, accennò alla possibilità di portare la nostra iniziativa alla televisione (cosa che puntualmente avvenne a -Domenica in- ndr) parlò della massoneria[…]”.

Dopo la comparsata in tv, Petrini torna nello studio dell’avvocato romano e ci trova nuovamente quello strano personaggio: Roberto: “Quando tornai nello studio dell’avvocato per ringraziarlo ci trovai Roberto, il mio strano informatore. Ad un certo punto arrivò un signore che mi venne presentato come il principe Borghese”.
Petrini dice di incontrare una persona che gli viene presentata come il principe Borghese. Pur non specificando di chi si tratti, sembra evidente che il nostro si riferisca al comandante della Decima Mas, altro massone (P2 ) oltretutto golpista.
La massoneria, più altri personaggi, che sembrano essersi presi a cuore le sorti dei giocatori usciti con le ossa rotte dallo scandalo scommesse. Perché? Nelle pagine seguenti Petrini racconta la sua lenta ma inesorabile discesa agli inferi ma facendo questo non dimentica di menzionare chi gli da una mano per tentare di risollevarsi su. Fra questi figura Alberto Teardo, altro massone iscritto alla P2.
Come se non bastasse la commedia data in pasto all’opinione pubblica per placarla sullo scandalo del calcio scommesse, diventa farsa nel 1982 con la vittoria dell’Italia ai campionati del mondo: “[…] dopo la vittoria della nazionale italiana ai mondiali di Spagna, ai primi di Luglio, la federcalcio decise di perdonarci tutti con un’amnistia[…]”.
Tutto finito insomma. Di calcio scommesse e di sentenza esemplari non si parla più dopo il 1982. Col senno di poi, sembra quasi che sia stato un bene che non si sia giunti alla formazione di una squadra formata dai giocatori squalificati. Sembra quasi che la Figc, col veto imposto, abbia voluto dire: state calmi e non fate niente, che le cose le sistemiamo noi”. E le hanno sistemate.










Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org

CARLO PETRINI: "ECCO COME CI DROGAVANO"
Carlo Petrini, la gola profonda del calcio anni 60/70. I retroscena del doping sfrenato di quegli anni che ha portato a diverse morti "sospette"
Intervista di Gianni Melli

"Iniezioni e flebo, vent' anni fa prendevamo di tutto: al confronto ormoni e creatina sono caramelle"
"Ho cambiato pelle dalla morte di Diego. Tumore al cervello. Porto dentro il rimorso di non averlo visto vivo: ero fuggito in Francia nel 1989, spaventato dalle minacce di gente pericolosa, dopo il fallimento di alcune finanziarie che si sono mangiate anche i risparmi della mia attività professionistica".

Quanto?
"Miliardi. Un pacco di quattrini buttati via, poi una villa a Catanzaro e altri immobili sacrificati nella voragine del dissesto. Fossi arrivato accanto a Diego, avrei rischiato la pelle e, soprattutto, messo a repentaglio l'incolumità della moglie e degli altri due figli. Oggi me ne pento e i guai servono paradossalmente ad alleggerire gli incubi. Sto diventando cieco a causa di due glaucomi. Prima sono stato rovinato dalle donne? Prima cercavo l'impossibile, sicuro di non sbagliare mai, di poter vivere impunito, al di fuori d'ogni regola. Centravanti nato, avevo talento e avrò realizzato un centinaio di gol, fra A e B, senza fare un sacrificio lecito per il football".

Cominciamo dal Genoa, la società che lancia Petrini.
"Sono figlio d'un muratore e d'una casalinga. Mio padre è morto a quarant'anni, tetano. Anche l'unica sorella morì sedicenne di diabete. Sembrava andare meglio a me: proveniente dal vivaio, entrai in prima squadra il 6 gennaio 1965, Genoa - Pro Patria di serie B. Tuttavia i fatti strani arrivano nella stagione successiva, allenatore G.G. e, vice, mister V. Perdevamo spesso e occorreva qualche soluzione per risalire in classifica. Allora qualcuno in società prepara le punture "rigeneranti". Sono iniezioni di non so quali sostanze associate; il liquido prevalente, all'interno della siringa, è rosso acceso. Noi accettiamo le siringate durante la settimana e prima d'ogni partita. E' per il bene del Genoa. Ricordo che nel ritiro di Ronco Scrivia le dosi aumentarono, ci iniettavano queste sostanze una volta al giorno. Ricordo Giuliano Taccola, bianco come un cencio e poi paonazzo al termine d'una partita di quel tormentato campionato. Era adagiato sul lettino dello spogliatoio e, tutt'intorno, noi compagni avevamo paura. Respirava a fatica. Giuliano, passato alla Roma, morì circa due anni dopo. Noi eravamo paurosamente bombati: al confronto, creatina e ormoni della crescita diventano caramelle".

E i controlli antidoping?
"I medici preposti alle pipì avevano zero possibilità di scoprire i nostri imbrogli. Avevamo pronti tre accappatoi con doppia tasca e facevano pipì in una provetta da clistere quelli che non giocavano. Chi doveva presentarsi, nascondeva la provetta sotto l'accappatoio e ne spremeva il contenuto nel barattolo federale. Nessun medico, finchè sono rimasto in attività, avvertì l'obbligo d'accertare, da vicino, cosa cavolo combinassimo nel ripostiglio, davanti al rubinetto dell'acqua. Nessuno controllava gli accappatoi e, spesso, allungavo la pipì con l'acqua per sbrigarmi. Come gli altri. E la buffonata dura da decenni, mi risulta che poco o niente sia cambiato".

Poi la stagione degli spareggi per evitare la C. Giusto?
"Sì, il Genoa s'affida prima a F. e poi quindi a C., senza fortuna. L'annata disastrosa ci porta agli spareggi: quattro squadre che hanno due posti per salvarsi dal baratro. E' giugno inoltrato: tornano a somministrarci un cocktail di farmaci, tenuto dentro bottigliette rotonde di vetro, con tappi adatti per l'aspirazione della siringa. Era già successo durante il campionato, sul neutro di Ferrara, dove disputammo Verona - Genoa. In quell'occasione, avevano scelto cinque di noi, cinque cavie. Il liquido era chiaro, filature gialle e rosse. Ci siringarono un'ora prima dell'inizio della partita e ci raccomandarono di fare un riscaldamento lento, senza scatti. Dopo venti minuti mi scoppiò il fuoco in corpo, ero un assatanato che, saltando, arrivava al soffitto dell'androne dello stadio ferrarrese, alto quasi tre metri. In campo ci ritrovammo trasformati, saltavamo addosso agli avversari con la lingua gonfia e una bava verdognola attaccata alla bocca. Credo non cambiassero nemmeno gli aghi delle siringhe. Di certo, le "bottigliette miracolose" non erano sterilizzate. Passavano il batuffolo di cotone, imbevuto in un pò d' alcool e ci facevano la puntura. Così, pieni di propellenti, arrivavamo pure dove non si poteva, ignorando la soglia della fatica. Scatenati, inesausti e insonni fino alle quattro - cinque del mattimo. Infine stremati, dentro a un bagno di sudore".

Il primo spareggio è Genoa - Venezia, 36 gradi dentro lo stadio di Bergamo. Qualche retroscena inquietante?
"In quell'occasione un mio compagno volle esagerare: una siringata prima del via e un'altra, identica, durante l'intervallo. Beh, schierato accanto a me, prendeva botte, si proponeva e reagiva senza un attimo di respiro. Pareva Pelè, un drago. Il suo cuore arrivava a un livello pazzesco di battiti e accelerava sempre. Restammo in B, ma per fortuna saltai gli ultimi tre spareggi per infortunio. Fu un bene, mi venne risparmiato l'avvelenamento totale subito dagli altri. Più tardi, li mandarono a San Pellegrino per disintossicarsi; successivamente, ritenuti cotti e inservibili, vennero ceduti nelle categorie inferiori. A me toccò il Milan, collocazione prestigiosa".

Petrini, a quel punto lei era a un passo dalla gloria. O no?
"Purtroppo no, la partenza fu difficoltosa. Bloccato da uno strappo alla gamba destra, mi sottoposi ad interminabili sedute di Rontgen terapia. La stessa di cui parla Saltutti, quando accenna alle radiazioni che avrebbero provocato la leucemia di Beatrice. Mi sono venuti i brividi. Terapie a parte, nel Milan ho avuto la sensazione di recuperare un pò di normalità. Certo, realizzai appena due reti per dieci presenze, ma partecipai alla vittoria rossonera in Coppa Campioni. Nereo Rocco mi stimava, mi ripeteva che cambiando testa avrei sfondato. Giocai a Malmö, contro gli svedesi. E nella domenica seguente non ci fu nessun controllo antidoping per il Milan. Era una prassi sottintesa per le formazioni italiane impegnate in Europa durante la settimana".

Il declino parte da Varese?
"Ero stato operato di menisco al ginocchio destro e nel nuovo ambiente trovai un dottore, medico di fiducia d'uno straordinario campione. Arrivò a praticarmi tre infiltrazioni quotidiane nella caviglia, visto che mi ero anche procurato una grossa distorsione nel ritiro precampionato. E poichè il ginocchio sotto sforzo si gonfiava, le infiltrazioni diventarono quattro per due settimane consecutive. Non so quale mistura mi rifilasse; so che ora quando cambia il tempo mi riprendono dolori lancinanti alle caviglie e alle gambe. E che in Francia mi è stato diagnosticato un glaucoma che s'è divorato l'occhio sinistro. Anche l'altro bulbo oculare è pressochè distrutto per lo stesso motivo. L'ho appreso nel 1989, a 41 anni. Ora non posso guidare, nè attraversare una strada al tramonto. I medici francesi mi riferirono che questa malattia, causata dall'incremento della pressione interna, colpisce in genere i vecchi, gli ultrasettantenni. Possibile che le numerose visite d'idoneità professionale non abbiamo riscontrato niente? Squalificato per colpa del Totonero, ripresi dopo quarantadue mesi fra Rapallo, Cuneo e Savona. E, probabilmente, i miei problemi dipendono da tutte le porcherie ingurgitate, compresi chili di Micoren, ora proibito dai regolamenti. A Varese si erano inventati una ricetta contro il freddo invernale. Prima della gara, prendevamo due o tre palline di Micoren più un caffè con dentro due aspirine tritate. Il dottore ripeteva che in questo modo portavamo a temperatura giusta i muscoli e avremmo stracciato gli avversari intirizziti".

I romanisti apprezzarono il bomber Petrini. Fuggì presto la stagione 1975-76.
"Nella Roma funzionai abbastanza. Ma anche lì, se volevi una probabilità di trovare posto in squadra, dovevi sottoporti alla rituale flebo del sabato. Il massaggiatore m'avvertì in fretta: "Guarda che è nelle nostre abitudini e non puoi sottrarti alla regola...". A Roma conobbi tante donne e spesso, a poche ore dall'impegno, mi accadeva di fare l'amore in qualche albergo. A Roma basta indossare la maglia giallorossa e tutti s'inginocchiano".

Fu a Cesena il suo primo turbamento.
"Ero agli sgoccioli, vado all'ospedale civile per il chek-up di prassi e l'onestà d'un sanitario mi toglie il sonno. Mette a confronto due lastre e mi fa vedere come dovrebbe essere il ginocchio d'un trentenne. Accanto c'è la radiografia del ginocchio d'un ottuagenario; proprio il mio ginocchio scassato. Ormai sono nel giro e tiro avanti a infiltrazioni, pillole, flebo. Raschio dal barile quanto resta, le ultime energie. Il calcio è una roulette pazza, chi va in disgrazia non rimedia soccorritori". Ecco perchè Petrini affonda senza gridare aiuto.





Dal sito www.ilfattoquotidiano.it
28 dicembre 2011

CARLO PETRINI NON RINUNCIA AD ATTACCARE “SOLDI, TRUFFE E DOPING: È IL CALCIO DI SEMPRE”
L'ex centravanti di Genoa, Milan, Roma e Bologna è alle prese con una malattia difficile da sconfiggere, ma continua a denunciare i mali del calcio di casa nostra. Tra gli altri, se la prende con personaggi noti - come Mazzola, De Sisti e Borgonovo - che non dicono ciò che sanno.
Gli è rimasto qualche desiderio. “Mi piacerebbe bere un caffettino”. Ottiene una brodaglia nerastra allungata con l’acqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità un’illusione e l’orizzonte un muro di nebbia. “Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E’ stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche”.
Ieri, abbattuto dalla leucemia se n’è andato anche Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70. Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: “Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati”. Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi. Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non c’è più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare.
A 63 anni, con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non c’è Natale o Epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta l’abbandono di chi un tempo gli fu amico: “Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno”, un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini. Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: “Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora”. Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile.

Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?
Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente.
Perché?
I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato.
Cosa c’era dentro?
Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.
Perché non vi ribellavate?
Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l’altro anche.
Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?
Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: “A ragà, forza, fa parte der contratto”. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: “Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn”.
Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.
Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.
Si muore di pallone?
Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno.
Lei insinua.
Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l’impegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare.
Chi ha nascosto tutto?
Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli ‘aiutini’ farmacologici o è una lapide con un’incisione o recita da vegetale.
Di chi parla Petrini?
Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse piangere, verrebbe da ridere.
E invece?
Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nell’indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.
Prova rancore?
A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco.
Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980.
E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta.
La ‘ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.
Che è servito per riaprire l’inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era l’ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, c’era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l’anello debole e fu suicidato.
Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa.
La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in culo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva l’ascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, un’ipotetica ‘prova’ della sua omosessualità.
Dica la verità. Lei ce l’ha con la Juve, fin dal 1980.
Al contrario. La salvai. Nell’ 80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose l’accordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: “Stai tranquillo, Pedro, calmati”, mi risposero.
Tutta la Juve sapeva?
Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube. Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: “State calmi, vi faccio pareggiare io”. La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io.
Le è rimasta la possibilità di raccontare.
Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l’era presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole. Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti.
E la scrittura?
Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà l’ultimo.
Perché?
Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace.
Ci sarà tempo?
Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai.




Dal sito www.violanews.com
16 aprile 2012 - di Roberto Vinciguerra

E’ MORTO PETRINI, IL GRANDE ACCUSATORE DEL DOPING
Alle 5 di stanotte ha cessato di battere il cuore di Carlo Petrini, ex calciatore degli anni settanta (Campione d’Europa col Milan nel 1969), ma, soprattutto, grande scrittore di libri soprattutto di accusa verso la parte malata del mondo del calcio, ovvero sul doping, sulle scommesse illegali e sulle morti bianche (come nel caso del libro sulla assurda scomparsa di Donato Bergamini).
Carlo Petrini è passato alla storia come il primo “reo confesso” del calcio italiano. Nel suo libro “Nel Fango del Dio Pallone” riuscì a portare alla luce inquietanti risvolti di una parte del calcio che nessuno conosceva, ovvero facendo un duro esame di coscienza a partire da ciò che lui aveva fatto durante la sua carriera. Attraverso la sua esperienza personale ha fatto conoscere a milioni di persone le pratiche dopatorie e quelle legate alle scommesse nel calico professionistico, senza mai ricevere una querela per i contenuti dei suoi libri.
Negli annio scorsi aveva concentrato la sua attenzione letteraria verso il processo per doping che aveva visto protagonista la Juventus.
Il suo corpo, minato da diversi tumori, non è riuscito a superare l’ennesima difficile prova a cui la vita lo aveva sottoposto.
I funerali sono previsti a Lucca nella giornata di domani alle ore 14:30.


Dal sito www.violanews.com
17 aprile 2012 - di Roberto Vinciguerra

FOLLA AI FUNERALI DI PETRINI: TRA I PRESENTI IL PM NARDUCCI
Si sono tenuti nel pomeriggio, a Lucca, i funerali di Carlo Petrini, ex giocatore e stimato scrittore, primo grande pentito del calcio italiano, in grado di fare emergere, attraverso i suoi scritti, tutti i retroscena sulle pratiche dopatorie e sulle scommesse illegali nel mondo del calcio professionistico. Oltre la moglie Adriana ed i figli Barbara e Giancarlo, erano presenti alle esequie molte persone fra cui spiccava sicuramente la figura dell’ex PM di Calciopoli Giuseppe Narducci, che in passato ha dichiarato di essere un grande ammiratore di Carlo Petrini.
A dare l’ultimo saluto all’ex attaccante del Milan campione d’Europa nel 1969 c’erano, tra gli altri, anche alcuni ex compagni di squadra di Petrini come Kurt Hamrin, Romano Fogli e l’ex viola Claudio Bandoni, oltre ad altri ex giocatori come Paolo Stringara, Giovanni Zamboni e Dario Spagnoli.
Non sono passate inosservate le presenze di Donata Bergamini (sorella di Donato, il giocatore del Cosenza ucciso in circostanze particolari , che hanno indotto i magistrati a riapire l’inchiesta dopo 20 anni), Gabriella Beatrice (moglie di Bruno, il calciatore morto di leucemia a causa di pratiche mediche disumane, per le quali è stato ritenuto colpevole Carlo Mazzone) e Ivano Fanini (storico Patron dell’Amore&Vita, oggi considerato il simbolo della lotta al doping nel ciclismo).
Toccanti le parole pronunciate, al termine della funzione, dall’attore milanese Alessandro Castellucci, protagonista in passato della famosa piece teatrale “Nel Fango del Dio Pallone” tratto ed ispirato al best seller di Carlo Petrini.
Nonostante la decina di squadre in cui Petrini ha militato nella sua carriera, solo l’AS Roma ha partecipato al dolore dei familiari e dei cari attraverso una corona di fiori consegnata personalmente nella giornata di ieri dal D.G. giallorosso Franco Baldini.